L’attacco di panico assume la forma di un disturbo che porta le persone a limitare le proprie esperienze nel tentativo di sentirsi al sicuro.
In questo articolo propongo una lettura dell’attacco di panico che va a toccare nel profondo il VISSUTO DI SOLITUDINE di cui è intrisa l’esperienza di vita delle persone che soffrono di questo disturbo. Questa lettura nasce dalla teoria dello psicoterapeuta Gianni Francesetti che ha rintracciato nei racconti delle persone che hanno sofferto di attacchi di panico un vissuto comune legato all’essersi sentiti “soli di fronte alle sfide del mondo”.
L’INCONTRO CON L’ATTACCO DI PANICO
Spesso il primo attacco di panico sopraggiunge improvvisamente in una vita che apparentemente procede nella norma (è ricorrente la frase:“è stato un fulmine a cel sereno”). La persona, sconvolta da questa esperienza, solitamente si reca in Pronto Soccorso o dal proprio medico poiché la sintomatologia correlata all’attacco di panico è vissuta prevalentemente a livello corporeo (palpitazioni, sudorazione, tremori, difficoltà respiratorie, “fame d’aria”, dolore al petto, nausea). Nel momento in cui gli accertamenti medici non rilevano problematiche fisiche, la sensazione può essere quella di non sentirsi compresi e riconosciuti nella propria sofferenza: “come è possibile che non abbia nulla se sto così male?”. A questo punto è esperienza comune quella di iniziare a mettere in atto comportamenti volti ad evitare tutte quelle situazioni che potrebbero esporre al rischio di un nuovo attacco di panico.
Questo è il vissuto maggiormente comune con cui le persone arrivano in terapia, spesso dopo anni di esami medici e evitamenti, talvolta profondamente invalidanti e limitanti.
DAL SINTOMO AL SUO SIGNIFICATO: COSA CI COMUNICA L’ATTACCO DI PANICO?
Le storie narrate dalle persone che soffrono di attacchi di panico sono varie ma ciò che le accomuna è il BISOGNO DI SENTIRE L’ALTRO come APPOGGIO e PROTEZIONE, bisogno che spesso non è stato ascoltato ed accolto. Le persone che sperimentano attacchi di panico spesso non sono stati riconosciuti nel loro bisogno di accudimento, raccontano di essere stati “bravi bambini” e poi “adulti di riferimento per gli altri”, come se fino a quel momento non ci fosse stato lo spazio per esprimere le proprie fatiche e le proprie vulnerabilità. Quando in terapia si apre la possibilità di entrare in contatto con queste parti, le narrazioni che emergono sono quelle di “dare voce ad una parte di sé che non si credeva esistesse” e questo è possibile grazie alla relazione di fiducia che si può creare nello spazio e nel tempo della psicoterapia.
IN CHE MODO LA PSICOTERAPIA PUO’ APRIRE POSSIBILITA’ DI CAMBIAMENTO?
In psicoterapia paziente e terapeuta lavorano insieme per COMPRENDERE IL SIGNIFICATO DELL’ATTACCO DI PANICO ALL’INTERNO DELLA PROPRIA STORIA DI VITA per poi costruire NUOVI MODI per COMUNICARE IL PROPRIO BISOGNO DI SENTIRE L’ALTRO VICINO.
E’ innanzitutto fondamentale creare uno spazio e un tempo per ascoltare e raccontare quel vissuto fino a quel momento taciuto. Il vissuto di solitudine che genera il timore di affrontare il mondo va accolto nel suo significato all’interno della storia di vita di quella persona: in genere il panico è collegabile a cambiamenti che assumono grande significato da un punto di vista identitario. Si può trattare di cambiamenti grandi o piccoli della vita ma che coinvolgono aspetti profondi della persona.
Le persone spesso esprimono in terapia il desiderio di “tornare come prima” e questo è molto comprensibile alla luce della sofferenza che l’attacco di panico porta con sé ma è importante riconoscere l’importanza di agire gradualmente. E’ essenziale creare un TERRENO SICURO affinché sia possibile RIATTIVARE IL PROPRIO MOVIMENTO: IN PSICOTERAPIA SI LAVORA INSIEME NON PER IMPARARE A CAMMINARE SULLE ACQUE MA PER COSTRUIRE UN TERRENO SICURO SUL QUALE POGGAIRE I PIEDI.
Un primo terreno sicuro può essere la relazione terapeutica che è il lo strumento centrale e luogo di trasformazione di quei vissuti di solitudine.